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Per Aspera Ad Veritatem n.22
Revered - and yet Repressed

C. Dickey e G.C. Kovach - Newsweek, 14 gennaio 2002



Con taglio etnologico, il settimanale Newsweek analizza il ruolo ambivalente delle donne nell'islam integralista: represse ma rispettate, abusate ma venerate. La condizione oscurata e sottomessa della donna nei paesi musulmani è ormai innegabile e dimostra il suo stretto legame con l'integralismo islamico che la vuole assoggettata, confinata tra le mura domestiche, priva di un proprio riconoscimento sociale, vittima e insieme garante di una cultura antica.
Nell'articolo viene evidenziata la sorprendente affinità e continuità di modelli culturali tra il mondo musulmano e la sponda settentrionale del Mediterraneo, il nostro Sud, dove residuano ancora realtà in cui le donne hanno un ruolo subalterno e passivo, ritagliato esclusivamente nello spazio domestico. Il ruolo delle mogli degli appartenenti all'Organizzazione Al Qaid'a ricorderebbe, in particolare, quello delle mogli dei boss mafiosi riassumibile nel prendersi cura della famiglia, restando ignoranti e completamente estranee ai dettagli del business, eppure con un ruolo ben preciso.
Entrambe le subculture criminali, apparentemente diverse e lontane, hanno in realtà, secondo gli Autori, caratteristiche comuni. Prima fra tutte, la famiglia intesa quale struttura fondamentale di tipo matriarcale. In queste realtà la presenza della donna è riconosciuta nella propria soggettività soltanto nella sfera del privato, quale custode del culto domestico.
Le donne avrebbero insomma un ruolo determinante soprattutto per quanto riguarda l'educazione dei figli. Sono infatti esse ad avere un potere enorme, una grande responsabilità nel misurare il destino dei figli maschi e strutturarne la personalità.
Per converso, la dimensione pubblica, sociale, civile, è prerogativa esclusiva dell'uomo. Il riconoscimento della donna islamica quale soggetto di diritto e quindi titolare di una propria capacità giuridica è negato. L'apertura al mondo occidentale, inoltre, è vista come un ostacolo, una minaccia al mondo islamico per la potenziale influenza sull'emancipazione delle donne che ne fanno parte.
I talebani si assicurano che le donne non vedano niente, non sappiano nulla, non siano in grado di lavorare, di studiare, di esprimersi. L'obbligo di usare il burqa, abito che imprigiona la donna dalla testa ai piedi, è un modo per cancellare la loro identità corporea. In questo tipo di società l'aggressività degli uomini è stata in qualche modo indirizzata anche nei confronti delle donne: oggetto da proteggere ma, nel contempo, da sfruttare, simboli centrali dell'onore della lotta, dell'autorevolezza, dell'affermazione e della prevaricazione, ma sempre e comunque oggetti nelle loro mani.
Da queste brevi riflessioni sulla realtà femminile nasce la consapevolezza di quanto il tema del ruolo della donna sia un problema politico, che investe tutta la società nel suo insieme, anche nella prospettiva della futura evoluzione, poiché la richiesta di soggettività della donna è indispensabile per il cambiamento di tutta la società.
L'analisi condotta con questo articolo è dunque particolarmente interessante. Se da un lato mostra come culture e subculture apparentemente lontane siano in realtà prossime e simili nei confronti di valori sociali fondanti, dall'altro pone in evidenza come la problematica affondi in concezioni antropologiche ataviche che possono accomunare, paradossalmente, realtà e religioni distanti e diverse. Prima di essere mafiosi o talebani, cristiani o musulmani, si è infatti uomini, con le debolezze, i timori e le angosce, sulle quali si innestano la storia, la cultura, la civiltà e, drammaticamente, anche l'arretratezza, la violenza e l'abuso.



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